Intorno al tema della pasturazione, nella pesca, c’è sempre una certa confusione. Ci sono delle tecniche di pesca per la quale la pasturazione è un vero e proprio must, e altre nelle quali, invece, il brumeggio (altro nome per la pasturazione) non è affatto previsto, e quindi non viene praticato da nessuno. E ci sono diverse tecniche per pasturare: usando pasture pronte o dei mix fatti in casa di farine, usando pescetti interi o pezzi di pesce.
C’è poi la pasturazione fatta nelle acque interne e quella fatta in mare, quella fatta in fiume oppure in lago, in superficie o in profondità. Insomma, difficilmente, quando si parla di pastura, due pescatori scelti a caso intendono la stessa cosa. In questo articolo, dunque, cercheremo di dare una panoramica generale per il neofita che, navigando online e chiedendo in giro, non ha ben capito qual è il ruolo reale della pasturazione nelle varie situazioni, in riva al fiume o a bordo di una barca da pesca.
Il lavoro della pastura
Il ruolo della pastura è piuttosto chiaro: deve attirare i pesci che si vogliono pescare quel giorno. Sugarelli, tonni, carpe, l’obiettivo è farli arrivare lì dove lanceremo i nostri ami. Fin qui, probabilmente, non ci sono dubbi di sorta. Anzi, sembra davvero molto semplice: è un po’ come mettere delle molliche di pane sul davanzale della finestra di casa per far accorrere qualche passero dai rami dell’albero di fronte.
Ma è davvero così facile? Basta effettivamente gettare della pastura nell’acqua per avere dei pesci pronti per essere allamati? Ebbene, i pescatori che hanno già provato la pasturazione sanno che le cose non sono così banali. Le variabili in gioco sono tante: una pastura che non “lavora” nel modo giusto è una pastura inutile, che di fatto si configura come uno spreco di risorse e ti tempo. Ma come deve essere la pasturazione per agire nel nostro interesse? Deve avere gli ingredienti giusti per attirare il pesce desiderato, in base al tipo d’acqua in cui verrà immersa, e deve essere preparata nel modo esatto in base alla profondità da raggiungere, alle correnti presenti, alla temperatura e via dicendo. La pastura che lavora bene è quindi quella che attira i pesci che vogliamo esattamente lì dove lì desideriamo, e che li far restare lì a lungo, vogliosi di addentare infine l’esca posta sul nostro amo.
Va detto che in Italia, alla pasturazione, è stata riservata per anni un’attenzione parecchio limitata. Certo, la pastura si usa da sempre, ma non sono poi tanti anni che la cosa si fa con una certa ‘scientificità’, e anzi, sono ancora tantissimi i pescatori che si affidano praticamente al caso usando delle pasture pronte del tutto generiche, non considerando la situazione dell’acqua o non seguendo alcuna tempistica. I pescatori di altri Paesi neanche troppo lontani – come per esempio i nostri cugini francesi – dedicano mediamente un’attenzione maggiore alla pasturazione, studiando ben bene come lavora una pastura una volta immersa nell’acqua e modificandola quindi di conseguenza in base alle proprie esigenze.
Ma si parla pur sempre di ‘cibo’ per pesci! Cosa ci potrà mai essere complicato? Qualcosa, evidentemente c’è. Una palla di pastura, per esempio, può disgregarsi troppo presto o troppo tardi. Dei pesci troppo grossi usati nella pasturazione possono arrivare a “saziare” completamente le nostre prede, che quindi se ne scappano ancor prima di vedere l’esca vera e propria. Il diametro della palla può essere troppo ridotto per attirare davvero il pesce ricercato. O ancora, è possibile usare semplicemente la farina sbagliata: le breme, per esempio, non apprezzano per nulla la farina di crisalide, e quindi se la daranno a gambe (anzi, a pinne) nel momento in cui il pescatore disattento userà questo ingrediente nella propria pastura.
Chi usa delle farine, e che realizza quindi le classiche palle per la pastura, deve pensare molto bene a quella che è l’acqua in cui le palle verranno gettate. La pastura per dell’acqua poco profonda (meno di un metro) caratterizzata da una corrente particolarmente lenta avrà bisogno di una porzione ridotta di farine aggreganti (come per esempio un quinto) e di una dose importante di farine disgreganti (circa la metà); al contrario, la pastura per una palla da immergere in acqua più profonda (tra i 4 e i 5 metri) con corrente veloce avrà bisogno del 60-70% di farina aggreganti, di contro a una dose minimale di farina disgregante.
Quando si prepara la pastura da usare in pesca, però, non si deve pensare solamente all’acqua. No, è necessario pensare ovviamente anche al pesce in questione.
La pastura così come viene vista dai pesci
Per capire come deve essere la pasturazione perfetta è bene pensare con la testa dei pesci. Abbiamo a che fare con delle bestioline che vivono sott’acqua, in un ambiente che, in certo senso, risulta più ostile rispetto a quello in cui siamo abituati a passeggiare noi. Insomma, lì dove nuotano i pesci c’è un più alto livello di sfiducia di fronte a quello che si para davanti ai loro occhi. Per questo non è facile ingannare un pesce con della pastura: non è come buttare un pezzo di carne sotto agli occhi del nostro cagnolone.
Certo, i pesci si sono evoluti proprio per vivere ‘bene’ in quel contesto difficile. La luce è poca, talvolta quasi nulla, e le correnti rendono difficili distinguere la provenienza di un suono oppure di un odore. Di più: i rumori, sott’acqua, si irradiano in modo differente in base alla temperatura e alla profondità, e quindi di fatto della pressione dell’acqua. Questo significa che l’attenzione dei pesci deve essere sempre massima, a livello sensoriale, per capire quello che succede intorno a loro.
Va precisato che i pesci hanno un senso dell’olfatto – e per questo le pasture devono essere odorose – che però non è sviluppato quanto il nostro – ecco quindi che le pasture devono essere doppiamente odorose. Per quanto riguarda i suoni, questi vengono percepiti dai pesci anche grazie alla loro linea laterale, e quindi grazie a un sistema che raccoglie ogni piccola vibrazione dell’acqua. Ne consegue dunque che anche il rumore della pasturazione diventa importante: il pescatore che getta in acqua una palla di farina compressata o una sardina intera dovrebbe tenerlo a mente. Combinando suoni e spostamenti dell’acqua, servendosi del loro spartano ‘sonar’ interno, i pesci riescono a farsi un’idea della forma dell’oggetto caduto in acqua e, ovviamente, della sua posizione, nonché del suo odore.
Bisogna sottolineare che stimoli diversi portano pesci differenti a comportarsi in modo altrettanto differente. Il rumore del motore di una barca, per esempio, spaventa molti pesci, ma attrae i tonni, i quali sono abituati ad avvicinarsi ai pescherecci per raccogliere gli scarti.
Cosa succede dunque quando un pescatore getta una palla di pastura? Prima il pesce avverte il tonfo sordo del peso caduto in acqua. Il pesce guarda quindi da quella parte, e distingue – con la sua vista non certo acutissima – un oggetto che affonda, del quale sovviene ben presto l’odore e sì, con la corrente giusta persino il sapore, per via delle particelle che si staccano via via dalla pastura in virtù delle farine disgreganti.
Detto questo, bisogna riportare in evidenza il fatto che il brumeggio cambia sostanzialmente da un’attività di pesca e l’altra, variando ingredienti, granulometria e tipologia stessa di pasturazione.
La pasturazione per il carpfishing
Chi vuole pescare delle carpe deve certamente approfondire l’argomento pasturazione: la pastura deve essere lanciata proprio lì dove andranno a finire le esche. É possibile usare delle pasture pronte, e quindi delle farine pensate appositamente per le carpe, oppure preparare la pastura in casa, mescolando farina di mais, spezzato di mais, farina di soia e pane grattato in parti uguali, più un po’ di vanillina e un po’ di anice.
A partire da questi preparati, ci sono diversi tipi di pasturazione. Chi pesca dalla barca può creare un’area estesa di pastura, gettando quindi dalla barca una pastura ogni metro per un rettangolo molto vasto, avendo cura di segnalare l’area pasturata. Per pasturare si usano gli strumenti più differenti: le semplici mani, le fionde, il bait rocket (per granaglie) e il cobra.
Il brumeggio per il drifting, dalla strisciata in poi
Qui parliamo di drifting, e quindi di prede importanti. Alle farine e alle pasture pronte si affiancano le sardine, che devono essere usate sia intere che a pezzi. Anzi, in realtà il drifting vero e proprio non prevede l’uso di pasture pronte, quanto invece di una pasturazione fatta prevalentemente di pezzi di sarda e di altri derivati del mondo ittico.
Prima della pasturazione vera e propria, nel mondo del drifting, ci si accinge e fare la strisciata, ovvero una pasturazione veloce fatta con il motore acceso, e quindi con la barca in movimento rapido. Si tratta di una pastura particolare e piuttosto ricca, con il pescatore che getta in acqua sardine a pezzi, sardine intere e addirittura pasture combinate di farine di pesce e scarti. Perché fare questo? Semplice: per lanciare un primo importante segnale alle nostre prede, come per esempio ai tonni – che come abbiamo visto sopra accorrono sentendo il rumore dei motori e i tonfi delle sarde che cadono in acqua.
Una strisciata perfetta deve essere fatta in modo contrario rispetto al senso che assumerà poi la barca durante l’azione di pesca, e quindi rispetto a quando sarà in deriva. La lunghezza di questa strisciata può essere variabile: la barca che getterà l’ancora nei pressi di una secca può limitarsi a mezzo miglio, mentre la barca che è in mare aperto e che non getterà l’ancora può esagerare, con un miglio o più di strisciata. Durante questa pasturazione preliminare, è bene non risparmiare: un piccolo vuoto di pastura potrebbe infatti compromettere il tutto, con i pesci che, abituati bene, torneranno sui propri passi non appena mancheranno di vedere il pezzetto di sarda.
Il getto di sardine, del resto, non deve mai interrompersi: basterebbe infatti un lancio in meno per perdere un tonno che seguiva la barca da ore. A proposito delle sarde, è bene pensare a quella che è la stazza dei pesci a cui si mira per capire come buttarle in acqua: chi vuole farsi la foto con un tonno gigante, in Adriatico, dovrà usare sarde intere e tutt’al più, di tanto in tanto, tagliate a due pezzi, con la certezza che sarà difficile ‘riempire’ un tonno di dimensioni importanti. Per tonni più piccoli, tipicamente per i tonni del Tirreno, meglio essere più parsimoniosi, con poche sarde intere e tanti pezzetti di sarda, per non rischiare di sfamare del tutto le prede.
La pasturazione per lo sgombro
Come pasturare, invece, per sgombri e sugarelli? Si ha che fare con pesci perennemente affamati, e quindi in continuo movimento. Il metodo classico è quello del sacco di corda a maglie fitte, che in Adriatico viene chiamato fitta. Il concetto è piuttosto semplice: le maglie di questi sacchi permettono di far fuoriuscire, pian piano, le particelle della pastura, con la corda che ‘erode’ il trito di pesce al suo interno. La fitta per la pesca allo sgombro può essere riempita con un paio di chili di sardine e di acciughe congelate, da immergere in acqua e da lasciar lavorare poco sotto al superficie: così facendo le particelle che si staccano dalla fitta per il brumeggio andranno a coprire uno spazio maggiore, cadendo dall’alto verso il basso, fino al fondale.
Ma non è tutto qui. Soprattutto in autunno, quando per la temperatura dell’acqua i pesci preferiscono nuotare più vicini al fondale, dove hanno maggiori probabilità di trovare da mangiare, è bene usare anche dei sacchetti di pastura zavorrati, da calare sul fondo (o poco più in alto): in questo modo si moltiplicheranno le probabilità di vedere un banco di sgombri fermi a pochi metri dalla barca.
Il pasturatore da barca
Chi si dà alla pasturazione in barca può contare su un’ampia gamma di prodotti per facilitare questa attività e rendere più efficace la pesca. Esistono per esempio i pasturatori da barca a sgancio rapido, muniti quindi di un meccanismo a molla che permette di attivare e di regolare il sistema di apertura. Ci sono poi anche i pasturatori con lame integrate, che permettono di tritare le sarde e di calare il tutto in acqua. E ancora, ci sono dei particolari pasturatori pensati per la pesca in profondità, con apertura per lo svuotamento a strappo. Ci sono poi dei dispositivi del tutto particolari, come per esempio il getta sardine automatico, che permette quindi di continuare a pasturare anche durante il combattimento, continuando a “nutrire” il branco nella pesca in drifiting. Possono poi risultare estremamente utili i tritasarde elettrici, con la possibilità di regolare il tempo e le pause di macinazione.
L’uso degli additivi per pesca
Chiudiamo questa lunga guida sulla pasturazione parlando degli additivi per pesca, ovvero di quei prodotti che permettono di rendere – agli occhi delle nostre prede – le nostre pasture nonché le nostre esche più attraenti e più appetibili. Si tratta insomma di qualcosa che potenzia l’efficacia delle pastura grazie a un deciso potere attrattivo ad hoc, attraverso il rilascio di profumi capaci di diffondersi nell’acqua dello spot scelto. Nel nostro e-commerce di prodotti per la pesca sono per esempio presenti due attrattivi per pesca del marchio Berkley, che non necessita certo di presentazioni: parliamo del Berkley Gulp! Alive! Attractant spray e del Berkley PowerBait Attractant liquido. In entrambi i casi si tratta di prodotti in grado di garantire una veloce dispersione dello scent nell’acqua: da provare!