Ricordo perfettamente la prima volta che incontrai Andrea Fantini.
Doveva partecipare ad una regata e lo aiutai a risolvere la solita annosa e noiosa problematica che, almeno una o più volte, capita a tutti i velisti: il rinnovo della tessera FIV, senza la quale non sarebbe neanche potuto salire a bordo.
Lo conoscevo di fama ed ovviamente mi fece piacere essere d’aiuto a quel giovane navigatore di cui avevo sentito tanto parlare dai giornali.
Occhi azzurri, sorriso contagioso e sincero, Andrea mi ha subito colpito per il modo di fare educato e gentile. Quasi un ragazzo della porta accanto.
In realtà Andrea ha tantissime miglia sotto la chiglia, tra cui diverse a bordo di Maserati con Giovanni Soldini.
Ma è sicuramente l’aspetto del solitario che lo rappresenta di più ed in particolare per quel bellissimo sogno che lo illumina ogni volta che ne parla; il giro del mondo in barca a vela, senza scali, senza assistenza, in solitario: il Vendèe Globe.
Ad essere sincero, non ho una risposta razionale. Ho iniziato a navigare con i miei genitori, quindi ho avuto un imprinting al mare fin da piccolo. Poi in realtà non so bene cosa sia successo, forse per le persone che ho incontrato o solo perché era una cosa che avevo dentro, navigare come professionista è stato un vero “richiamo della foresta”. Sentivo, e sento tutt’ora, che questa doveva essere la mia strada e che dovevo mollare gli ormeggi verso navigazioni oceaniche. Infatti non riesco ad immaginarmi impegnato in qualcosa di diverso, anche se devo ammettere che tutto questo mi spaventa. Navigare intorno per il mondo da solo è una cosa che mi fa molta paura, ma nello stesso tempo mi attira quasi in modo morboso.
E’ lo stesso prezzo che deve pagare chi ha un sogno e lo vuole raggiungere. Vivere della propria passione significa essere sempre pieni di casini e costretti a scendere a compromessi enormi con sacrifici pazzeschi che coinvolgono amici, affetti, famiglia e soprattutto la parte economica. Non è facile e non è un lavoro normale, con tutto il rispetto per ogni tipo di lavoro. Ovviamente non mi lamento, perché nessuno mi obbliga, anzi, penso spesso di essere molto fortunato, perché avere la possibilità di scegliere di diventare un navigatore vuol dire essere un privilegiato.
Ti ricordi la tua prima volta in mare in solitario?
Ci sono state tante piccole volte, ma la prima, quella vera, è stata per la qualifica alla Route du Rhum. Da Cadice sono arrivato a Lorient da solo, a bordo del mio Class 40. Quella me la ricordo, eccome (ride). Una paura pazzesca all’inizio, come per tutte le cose che non si conoscono, poi però sono entrato nel ritmo.
In realtà, no. Ogni volta che parto è come se fosse la prima volta, una nuova avventura tutta da riscrivere, anche sul piano delle emozioni. Quello a cui non riesco ad abituarmi è la tensione dei giorni prima della partenza, perché per me è la parte più dura dal punto di vista emotivo. Non so perché mi capita di essere così nervoso, e forse alla prossima regata in solitario saprò a cosa vado incontro e sarò più preparato a gestire lo stress. Anche perché quando sono in mare, sono tranquillo.
Che rapporto hai con la vita “a terra”?
Sono un irrequieto cronico. Quando sono impegnato in un progetto ho mille cose da fare, scadenze, sponsor da contattare, e allora vorrei solo un po’ di tranquillità. Quando però vivo periodi di calma, vorrei avere “mille cose” da fare. Insomma, non ho pace.
Bisogna fare una distinzione tra navigare in regata e non. In regata entri in un’altra dimensione, con uno stato d’animo particolare dove sei totalmente focalizzato sulla parte sportiva. Quando invece navighi fuori dalle competizioni è diverso, e viene fuori il lato “romantico” dell’andare per mare.
Sei più attratto dalla dimensione sportiva o da quella romantica?
Mi piacciono entrambi e mi basta navigare, in regata o in trasferimento. Ovviamente, se sono su una barca tirata da regata e vado veloce, sono più felice. La competizione mi attira ed in un certo senso anche l’avventura. Molti oggi fanno differenza tra il regatante e l’avventuriero. Per me è una cavolata e non sono d’accordo. Partire per una regata, che sia intorno al mondo in solitario oppure una traversata atlantica, è sempre qualcosa di grande. Chi partecipa, ovviamente, vuole arrivare prima degli altri ma bisogna ammettere che a livello umano è un’esperienza unica e straordinaria. Quando penso che si parte per una regata da un porto per arrivare in un altro continente, passando tanti giorni in mare, non riesco a vedere solo la parte sportiva.
Hai mai avuto paura in mare?
A dirti la verità, no. Più che di paura parlerei di stress. Oggi le barche sono talmente veloci che a bordo hai sempre poco tempo per dormire e sei sempre in allerta, quindi è più una questione di stress. Dirò forse una cosa strana, ma influisce molto anche il tipo di progetto ed il budget di cui si dispone, che garantisce una certa tranquillità nel poter “tirare” o meno in regata, rischiando quindi di più.
La solitudine in mare è un fattore da vincere o con il quale bisogna convivere?
Nella mia esperienza non ho mai avuto grossi problemi in questo senso ed in realtà non mi sono mai sentito completamente solo a bordo, perché si è sempre collegati con il team a terra. Forse la cosa è diversa quando si naviga nei mari del Sud, dove le distanze sono importanti. La solitudine comunque mi affascina perché sono un tipo che sta benissimo con le persone, con le quali devo avere però un buon rapporto, ma sto benissimo anche da solo.
Quali sono stati i momenti sportivi più belli, quelli che ricordi con un sorriso?
Sicuramente l’arrivo della Route du Rhum in Guadalupa. E’ stato un momento indimenticabile perché era la chiusura di un progetto durato due anni dove abbiamo veramente versato lacrime e sangue, con mille problemi e mille sacrifici. La regata è stata poi bellissima ed in mare sono stato bene. Un altro bel momento è stata la Defì-Atlantique, la regata di ritorno subito dopo la Route du Rhum, che dalla Guadalupa arriva in Francia. Eravamo in quattro a bordo: io, Tommaso Stella, Alberto Riva e Luca Del Zozzo ed eravamo super affiatati, cosa che credo abbia fatto la differenza. Pur avendo una barca di vecchia generazione siamo andati molto vicini al podio, questo perché abbiamo navigato bene insieme. Un altro bel ricordo.
Facciamo un gioco: prova a voltarti indietro, cosa vedi di te stesso?
Pensandoci, vedo un Andrea che si lanciava molto di più, forse perché quando sei giovane te ne fregi e fai il kamikaze, del tipo “vada come vada”. Ero, e lo sono ancora oggi, un sognatore con quella voglia di raggiungere un grande sogno, che è sempre stato chiaro nella mia mente. Credo che la vita vada troppo veloce e se vuoi veramente raggiungere un obiettivo non devi perdere tempo. Ripeto, avendo avuto la fortuna di poter seguire la mia passione, non ho mai mollato. Se mi guardo indietro, quindi, sono abbastanza contento di quello che ho fatto.
Ok, adesso voltati e guarda davanti a te, cosa vedi?
(Ride) Bella domanda. Mi chiedo se arriverò mai al un punto in cui non sarò più così irrequieto e deciderò di fare qualcosa di più normale, come stare più a casa e meno in giro. Mi chiedo se succederà mai, perché sinceramente adesso non ne ho molta voglia.
Io e Andrea all’evento DESERT2OCEAN.