Giovane, sorridente e con una gentilezza che sembra di altri tempi, Andrea “Murdock” Alpini risponde immediatamente alla mia richiesta di intervistarlo; voglio conoscere il suo mondo, quello della subacquea e dell’esplorazione dei relitti nelle profondità dei mari e dei laghi.
Andrea ed io entriamo immediatamente in sintonia e la nostra chiacchierata si trasforma in una piacevole esperienza, come le sue spedizioni.
Sì, perché Andrea vive le sue spedizioni subacquee con uno spirito molto vicino all’esperienza e non come un “mettere una tacca” nella lista delle avventure estreme, come spesso accade oggi. Vive l’esperienza come “conoscenza acquisita attraverso l’uso e la pratica di un determinato settore della realtà”.
Andrea, per gli amici Murdock, è estremamente preciso nel descrivere le sue immersioni che lo hanno portato ad esplorare alcuni dei relitti più famosi al mondo, ripercorrendo soprattutto la parte storica della nave e dei suoi personaggi. Perché esplorare e visitare sono due cose ben diverse.
Murdock, come nasce questo tuo “secondo nome”?
Tutto è nato da un gruppo di amici con i quali pratico immersioni. Un giorno uscendo dall’acqua, uno di loro, che oggi è un mio grande amico e compagno di spedizioni, mi ha guardato e ha esordito con “tu sei proprio Murdock”. Si riferiva al personaggio della serie A-Team e, per intenderci, a quello un po’ pazzo e scapestrato, quello che si lanciava in progetti assurdi e fuori dalle righe ma sempre con i piedi per terra. Quindi, da quel giorno questo nome ha iniziato ad accompagnarmi e ora tutti mi conoscono come Murdock. Tanto che se mi presento con il mio vero nome, talvolta, non mi riconoscono. Murdock è così diventato una sorta di brand, anche se non è proprio corretto dire così, è più un modo di fare immersioni.
Non avevo pensato all’A-Team, pensavo fosse collegato a un supereroe della Marvel.
Non ho mai seguito quella sorta di personaggi, neanche quando ero ragazzino, perché non è un genere che mi appassiona. I supereroi spesso indossano una maschera o un costume che li differenzia dal loro quotidiano. Non ho mai pensato a Murdock come l’alter ego di Andrea, ma piuttosto a un modo di essere, un modo di approcciarsi alla vita. Per intenderci, ciò cui mi riferisco è più simile a quello che facevano i futuristi quando si cambiavano il nome per rappresentare ciò che realmente erano, in modo totale.
Come è nata questa tua passione per la subacquea?
Potrà sembrare banale ma tutto è iniziato quando ero un bambino. A 5 anni ho fatto i primi respiri sott’acqua all’Isola d’Elba, dove andavo con la famiglia in vacanza. Mio padre era subacqueo e vederlo immergersi con l’attrezzatura era qualcosa di avventuroso e per me era davvero un “supereroe”. La prima immersione poi è arrivata quando avevo circa 10 anni, il primo brevetto a 12, il primo relitto a 16.
Come ti sei avvicinato quindi ai relitti storici?
È iniziato tanti anni fa con la passione per le imbarcazioni. Perché un relitto, prima di essere tale, è una nave. Ovviamente, il subacqueo la vede nello stato ultimo e in continua trasformazione. Un relitto cambia, muta e si evolve di anno in anno per vari fattori, umani, della pesca o semplicemente per le condizioni naturali del luogo in cui si trova, cioè sott’acqua. L’esplorazione di un relitto si avvicina molto a un’esperienza empatica tra il subacqueo e ciò che sta osservando, sia esternamente sia internamente. Una scoperta che non si limita al relitto stesso ma diventa anche una conoscenza personale dove, ad esempio, si deve affrontare un certo stress e bisogna essere preparati su alcune tecniche di subacquea. Sono questi gli aspetti che mi affascinano, oltre al perché quel relitto si trova lì. Non m’interessa fare di queste immersioni una sorta di conquista e il mio modo di immergermi è legato ad uno spirito di conoscenza, di ricerca storica e di dettagli. Un relitto è un manufatto, che per la sua connotazione, ha tanto da raccontare del passato, del presente ma anche del futuro.
I relitti che visiti fanno parte di un mondo sommerso, che non è per tutti. Qual è l’impatto emotivo di quando ci si trova davanti a quella che un tempo era una nave?
L’impatto è diverso da persona a persona e quindi la componente umana è molto forte e dipende sempre con quale spirito si affronta l’immersione: come un conquistatore effimero, da spaccone o con un senso di rispetto e di indagine storica. Un relitto è comunque una nave che quando era in superficie aveva un obiettivo, uno scopo e ora, che si trova sott’acqua, ha perso la sua funzione diventando un patrimonio culturale, archeologico o anche un cimitero. Molti relitti sono dei sacrari o simboli di battaglie. Inoltre, ci sono anche altri componenti che influenzano la percezione di ciò che stiamo esplorando come lo stato di conservazione del relitto, il tipo di acqua, salina o dolce, fredda, trasparente torbida o scura. Ma anche gli elementi del relitto come eliche o timoni e gli ambienti che si possono vedere e toccare sono parti di nave che possono rendere la spedizione accattivante. Io, ad esempio, sono affascinato dalle ancore e mi piace vedere la forma degli occhi di cubia. Inoltre, è importante sottolineare la componente della scala umana, che permette di percepire la dimensioni del relitto: è molto affascinate. Mi è capitato di immergermi sul HMHS Britannic, la gemella del Titanic, e qui la scala umana è impressionante. Gli argani di prua hanno un diametro di due metri e per capire cosa stai osservando devi allontanarti, bisogna fare un vero e proprio “passo” indietro per avere la visione totale – accade spesso anche nella vita, no?
Deve essere veramente affascinante. Lo dico da persona che ha un rapporto conflittuale con l’acqua, tanto da riuscire a tenere la testa sott’acqua solo per pochi secondi.
I relitti non sono sempre affascinanti o visibili in acque chiare, come si potrebbe immaginare. C’è un relitto che io amo in modo particolare ed è quello del Piroscafo Plinio che si trova a circa 42 metri di profondità nel lago di Mezzola (Sondrio). L’acqua è a 4° con una visibilità spesso varia dai 50 centimetri ad un metro e poco più. È un’immersione molto tecnica nonostante la profondità ridotta, qui la poca visibilità può creare alte soglie di stress. Una volta mi approcciai scendendo a poppa, dove ci sono le battagliole riverse e mi è venuta l’angoscia, nel vero senso della parola, tanto da sentirmi a disagio. È stata l’unica volta che ho provato questa sensazione. In questi casi bisogna concentrarsi sulla respirazione e tornare in una condizione di regolarità.
Ho sempre pensato che la disciplina necessaria per praticare un’attività come la subacquea, possa servire anche nella vita di tutti i giorni.
Essere impulsivi ha conseguenze spesso negative, nella vita quanto nella subacquea o in ogni altra disciplina. Affrontando la subacquea tecnica è necessario avere un approccio determinato e una preparazione mentale per gestire lo stress, che non è sempre e solo negativo come si potrebbe pensare, ma può essere anche positivo e creare lo stimolo a dare il meglio di noi stessi. Sott’acqua, come nella vita, bisogna saper gestire le emozioni, il che significa prima di tutto controllare la respirazione e il cervello per fare la scelta più giusta nei momenti decisivi. La subacquea, se affrontata con razionalità e gestendo la compagine emotiva può dare indirizzi importanti anche nella vita, basti pensare la regola base del “fermati, pensa, agisci”.
Sui social hai scritto una frase che mi ha colpito: “chiunque ti abbia permesso di entrare in un relitto o in una vita impone un limite: il ritorno in superficie”.
Nella subacquea il ritorno in superficie è fondamentale! (ride, ndr). Quella frase l’avevo scritta in occasione di una mia immersione sulla corazzata S.M.S. MARKGRAF, affondata il 21 giugno 1919 alle 16.45 a Scapa Flow. Per stazza e per il tipo di armamento una corazzata quando affonda si rovescia e giace poi sul fondale marino riversa come un guscio di tartaruga. Quello che rimane e che si vede quindi è la chiglia della nave e tutto il resto scompare sotto di essa. Per questa immersione la mia scelta fu di conoscere il relitto dall’interno, il che significa costantemente capire dove ti trovi rispetto alla nave in un esercizio mentale di posizionamento geografico. I relitti sono vivi e ti permettono di osservarli da diversi punti di vista, come in un dialogo tra due persone che si stanno conoscendo. Il relitto che è esplorato dall’interno ha punti più o meno accessibili o pericolosi. Molto dipende dal tipo di approccio che ha il subacqueo vuole affrontare durante l’immersione. Il ritorno in superficie quindi fa parte del tempo che ti è stato concesso per conoscere in quel momento, ogni rapporto impone un limite. Nella vita è uguale, non posso pretendere di conoscere una persona solo perché ho del tempo da dedicarle, la conoscenza dipenderà dalla qualità dello scambio, dall’empatia che si creerà e dalla volontà di entrambi di aprire o chiudere degli spiragli fino ad arrivare al limite che di solito ci si concede. Il subacqueo quindi deve trovare, metaforicamente, la chiave interpretativa del relitto ed esplorarlo fin dove gli è concesso.
Torniamo a un tema molto importante ed attuale. Dal tuo punto di vista di subacqueo e di uomo, quanto è importante il rispetto per la natura?
La risposta più semplice che mi viene da pensare è che il rispetto per la natura deve essere assoluto. Purtroppo, sembrerò retorico ma l’uomo ha dimenticato che fa parte di un sistema e non è al vertice dello stesso. Il rispetto per la natura è principalmente il rispetto per se stessi. Recentemente ho riletto le Operette Morali di Giacomo Leopardi, poeta che amo molto, dove proprio nel DIALOGO DELLA NATURA E DI UN ISLANDESE la Natura dice che gli Uomini “devono ricordarsi che il mondo non è stato creato per loro e che se Lei volesse potrebbe distruggerli e non se ne avvedrebbe”. Credo sia uno dei passi più belli della poetica di Leopardi e che rappresenti perfettamente questo rapporto tra l’Uomo e la Natura. Per un velista, un regatante, un alpinista o un subacqueo la natura non è un termine di confronto ma più un dipendere e ascoltare i suoi elementi, quindi il rispetto deve esserci per forza.
Quali sono i rumori e le sensazioni della profondità?
Le sensazioni da profondità cambiano da persona a persona e dipendono dalla nostra intelligenza, non intesa come IQ ma dalla sensibilità con cui ci poniamo davanti alle cose. Quando ci immergiamo ci sono degli elementi esterni che modificano l’ambiente e che bisogna essere pronti a recepire. Questo succede in tutte le situazioni, davanti ad un quadro o in barca, dove se non sei capace di percepire il vento sulle vele e sulla tua pelle, ti apparirà solo come un rumore. In subacquea devi essere pronto ad ascoltare e capire il tuo respiro e le tue reazioni che cambiano in base alla profondità. Si tratta di un approccio mentale e uno scambio reciproco tra l’esterno e quello che io, uomo, percepisco interiormente in quel momento.
Andrea, cos’è la profondità?
La profondità è quello che si vuole raggiungere mentalmente con la conoscenza di sé e con le tecniche di cui si dispone. La profondità non è una questione di metri.
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Bellissima intervista ad un personaggio dei nostri tempi che ci riporta al passato