Ci sono uomini che il mare lo vogliono vivere in solitario, altri che lo possono vivere solo in equipaggio. Non esiste il modo migliore, ma solo il proprio modo.
Fabrizio Agostini, Bicio per gli amici, il mare lo vive in modo corale, forse grazie ai tanti anni da istruttore di vela, uno di quelli che guardano in modo severo se si sta commettendo un errore, ma un secondo dopo spezza la tensione con una battuta, riportando a bordo la giusta leggerezza che serve per vivere le prime volte in mare.
Perché in mare c’è un tempo per divertirsi e uno per essere responsabili.
Cosa rappresenta per te il mare?
Il mare per me è tutto. Non riesco ad immaginare la mia vita senza, sarebbe come avere una casa senza finestre o senza porte, e personalmente non potrei mai a stare in un posto dove non ho questo orizzonte aperto.
Quindi anche un senso di libertà?
Certo, ma anche senso di responsabilità e di coscienza di quello che hai difronte. Il mare è bello, è grande e per questo esige rispetto ed esperienza. Poi però bisogna anche divertirsi.
Hai iniziato la tua esperienza velica al Circolo Velico Riminese con Luciano Pedulli, scomparso nella tragedia del Parsifal nel 1995.
In realtà io ho iniziato a navigare da autodidatta sulla spiaggia di Rimini con i catamarani e le derive. Poi ho conosciuto Luciano con il quale sono passato alla vela d’altura. Aveva fondato una scuola vela con un’idea che ho sempre creduto bellissima: la vela per adulti e per chi non ha la barca. Il concetto era quello di avvicinare la città di Rimini alla vela, in un periodo dove i circoli erano una realtà chiusa.
Com’era Luciano Pedulli?
Ho incontrato Luciano purtroppo solo due anni prima della sua scomparsa, quindi non posso parlare di lui da amico. Sono stato un suo allievo, poi sono diventato un istruttore della scuola vela e anche un componente del Gruppo Sportivo, un’altra sua idea che aveva lo scopo di dare una continuità ai corsi, dove gli allievi avevano la possibilità di diventare i futuri istruttori. Luciano era il Presidente del Circolo Velico Riminese ed era una persona fantastica, sempre deciso nelle sue scelte, andava dritto per la sua strada nonostante tutto e tutti. Come quando acquistando tre barche per la scuola vela si trovò ad affrontare il parere contrario di molti soci, e anche se si erano creati dei dissapori all’interno del Circolo, lui non ha mai fatto un solo passo indietro. Ecco, ho ammirato la sua fermezza. Ma era anche una persona estremamente simpatica, quando era il momento per scherzare.
La Croazia è una meta quasi obbligata per chi vive lungo la costa adriatica. Quante volte hai fatto la traversata “coast to coast”?
Oddio, non le ho mai contate ma sono veramente tante, e mi auguro di farne altrettante. Anche perché non ci andiamo solo per le vacanze, ma anche per regate come la Pesaro Rovigno Pesaro, la Civitanova Sibenico ecc. E poi l’Adriatico è bello, piccolino ma cattivo. (Ride).
Il mare ti ha mai messo alla prova?
Tantissime volte.
E ti ha mai fatto paura?
Beh, non sempre. Una volta sola ho avuto veramente paura. Nel 1993 ho partecipando per la prima volta alla Rimini – Corfù – Rimini, ed era anche la mia prima lunga navigazione (la RiCoRi era una regata di 1000 miglia. N.d.R.). Ero a bordo di uno dei tre Figarò che Luciano Pedulli aveva acquistato in Francia, ed eravamo 3 italiani e due francesi, uno di questi era Marc Guillemot, oggi famoso navigatore oceanico. Eravamo nel Canale di Otranto ed arrivò una grossa perturbazione, ovviamente di notte, con venti che superarono i 70 nodi.
Ti riferisci all’edizione dove è caduto in mare il ragazzo croato?
Si, esattamente. Ancora oggi raccontare quella notte mi emoziona, perché il ricordo è vivo, come se fosse successo ieri. Navigavamo di poppa con lo spinnaker e si vedevano i lampi all’orizzonte. Improvvisamente il vento ha girato di 90 gradi ed è aumentato, tanto che la vela è esplosa e ci siamo ritrovati con l’albero in acqua ed il bulbo fuori. 77 nodi sono veramente una cosa violenta, e in quei momenti non puoi fare nulla. Ricordo che ero aggrappato alle draglie, ho chiuso gli occhi e ho stretto le mani. Ecco, in quella situazione ho avuto veramente paura. Poi il vento è leggermente calato, ma parliamo sempre di 45-50 nodi – che non sembrano più tanti dopo i 70. Abbiamo ammainato subito la randa, anche se era difficile in quelle condizioni e ci siamo messi in sicurezza. E’ stato allora che abbiamo visto, nel buio più totale di quella notte, un razzo rosso. In quel momento è calato uno strano silenzio tra noi perché era chiaro che qualcosa di grave era successo. Alla radio abbiamo quindi sentito il “may day” – “uomo a mare” lanciato da una barca croata in gara. Abbiamo raggiunto immediatamente il punto comunicato, anche perché era proprio a poca distanza da noi, e dopo aver parlato con la barca in difficoltà, sono iniziate le ricerche così dette a pettine, dove tutte le barche, distanziate di una cinquantina di metri l’una dall’altra, navigano avanti e indietro lungo la zona dove si pensa possa essere l’uomo. E’ stato un momento molto difficile, anche perché vedevo la disperazione dei compagni che cercavano il loro amico. Era freddo, c’era vento molto forte ed erano già passate oltre due ore dall’incidente, quindi la speranza di trovarlo era veramente minima. (Si ferma un secondo per riprendere fiato e la sua voce si spezza dall’emozione). Poi un vero colpo di fortuna. Io e Mario, uno dei miei compagni di equipaggio, vediamo il ragazzo in acqua, Marc rallenta la barca e noi ci lanciamo per prenderlo. Mario lo teneva per un braccio e io per una gamba e urlavamo “non lo mollo, non lo mollo”, cercando di portarlo a bordo ma senza riuscirci. Poi ho capito perché; “Mario, uno dei due deve mollarlo, perché c’è il candeliere nel mezzo!!”. Portato a bordo e riscaldato, il ragazzo ci ha raccontato cosa era successo. All’arrivo del groppo anche loro si erano trovati con l’albero in acqua e lui era rimasto schiacciato dalla fiancata della barca e per non affogare aveva lasciato la presa. Una volta in acqua, non avendo il giubbotto di salvataggio, si era spogliato ed aveva tenuto in mano solo gli stivali riempiti di aria, riuscendo a mantenere la calma per oltre due ore perché vedeva le luci delle altre barche girargli intorno. Fortunatamente tutto si è risolto per il meglio, e comunque Marc Guillemot alla fine della regata ha detto, in quel poco di italiano che conosceva, “però l’Adriatic!”. Eh sì, l’Adriatico quando si arrabbia si fa sentire.
Sei armatore di XXL insieme al tuo amico di sempre, Mirco. Una società ormai collaudata.
Si, XXL è un Adventure 30 modificato da Bert Mauri, un vero professionista e ci tengo a precisarlo. Tornando alla domanda sì, con Mirco ci siamo trovati. Noi siamo l’esempio che alcune società in barca possono funzionare alla perfezione. Le carenze di uno sono compensate dall’altro, ma soprattutto c’è grande fiducia. Quando siamo in navigazione lui si occupa della prua, io invece sono al timone, quindi ognuno ha un settore della barca a cui pensare. C’è una frase che mi dice sempre in regata: “Bicio, manovre per tempo” e puntualmente capita che alcune manovre si fanno per tempo…e altre no. Ormai però sappiamo entrambi fino a dove possiamo spingerci e nessuno fa il passo più lungo della gamba e le manovre a bordo di XXL sono sempre perfette.
Sei papà di due gemelline di 6 anni, Emma e Mia. Hanno già iniziato ad andare in barca?
Ho sempre avuto un po’ di timore all’iniziare alla vela le mie figlie, perché non sempre la passione dei genitori diventa automaticamente quella dei figli, ma quest’anno abbiamo iniziato un corso sugli Optimist. La cosa ha funzionato al 50%. Ad Emma piace, a Mia, no. Le mie bambine hanno due caratteri molto diversi; Emma è più fisica e in barca ha subito trovato la sua dimensione. Mia ha voluto provare il cavallo. Cosa devo dire…speriamo che passi presto. (Ride). Questo non lo scrivere però. A parte le battute, l’importante che le piaccia vivere il mare, magari in altri modi, non necessariamente a bordo di una barca a vela.
C’è un valore del mare con il quale speri che le tue figlie possano crescere?
In mare si ha la possibilità di rivelarsi, si tolgono le maschere e si affrontano i propri scheletri e per questo gli incontri o le amicizie che nascono a bordo diventano vere e molto forti. Mi auguro che Emma e Mia possano avere questo modo di proporsi agli altri per trovare quei legami forti e duraturi che nella vita sono importanti.
Passeggiando sulla banchina non è difficile capire dove si trova ormeggia la barca di Bicio e Mirco; è quella con la passerella sempre pronta ad accogliere amici per navigare o anche solo per una birra in pozzetto.
Grande Bicio, bell’intervista Laura
Grazie Mario.