Dicono che una barca è capace di parlare attraverso i rumori della sua attrezzatura e del suo scafo e per questo il suo armatore deve conoscerne ogni suo particolare, ogni vite, ogni rondella, ogni copiglia.
Una simbiosi che si raggiunge in due modi: navigando o costruendo la barca.
Ed è così che è iniziata la storia di Michele Marangoni, 33 anni di Bologna, con Mia, un trimarano di 22 piedi (7 metri di lunghezza per 5.5 metri di larghezza) costruito insieme al padre e tanti amici di famiglia, in 1.800 ore distribuite in 3 anni.
Mia è di colore giallo e racchiude in sé amicizia, crescita, curiosità e voglia di navigare. Mia e Michele vivono il mare con la semplicità della passione e con la voglia di condividere la bellezza del mare con chiunque voglia farlo. “Non aspettarti che sia io a chiamarti per uscire. Gli amici lo sanno che quando hanno voglia di fare un giro in barca mi devono solo chiamare. Io e Mia siamo sempre pronti.”
Mia rappresenta anche quel mondo del mare dove l’esperienza viene trasferita attraverso rapporti umani capaci di lasciare un segno forte ed indelebile.
Michele, grazie per la tua disponibilità, era tanto che volevo fare questa chiacchierata con te. Ma partiamo dall’inizio. Come e quando è scattata la passione per il mare?
Ho iniziato con i corsi di vela estivi del Circolo Velico Ravennate a 4 anni. In estate, infatti, ci trasferivamo a Marina di Ravenna in roulotte, visto che mia madre insegnava e, piuttosto che lasciarci tutti e tre in spiaggia, passavamo quasi un mese sulle derive. La pratica e la teoria non mi mancano ma non ho preso la strada dell’agonismo. Rispetto ai miei fratelli però io sono quello che continua a navigare di più, prima con mio padre con il suo catamarano autocostruito e poi in crociera con gli amici di famiglia. Poi è arrivata la svolta a 21 anni, quando un giorno mi sono detto: “cosa faccio io da una vita? Navigo”. Così mi sono licenziato e sono andato in Grecia a fare il marinaio con un capitano con il quale mi sono trovato molto bene, mentre in inverno cercavo lavoretti occasionali. E’ stata la mia vita per 4 anni. Ho fatto tante esperienze, come quella di navigare sul Moana 60, la barca usata da Malingri per il Vendée Globe.
Come è nato il progetto di costruire un trimarano?
Tutto è partito da mio padre che ha acquistato il progetto F22 di Farrier ed ha iniziato la costruzione della barca, prima nel garage di un amico a Falconara Marittima (AN) poi, dato che lo scafo centrale ultimato non sarebbe uscito dalla porta, ci siamo trasferiti in un capannone più grande a Bologna. Io ho iniziato ad andare a vedere i lavori nelle prime fasi e mi sono appassionato. Nell’inverno del secondo anno di cantiere, non trovando nessun imbarco o lavoro, mi sono dedicato alla costruzione finale di Mia, che è durata circa 11 mesi. Tutti i giorni, dalle 9 di mattina alle 9 di sera, senza che questo mi costasse nessuna fatica – anzi – avevo sempre un bel sorriso stampato.
Alla costruzione di Mia hanno partecipato delle persone importanti per te. Hai voglia di raccontarmi qualcosa di loro?
Oltre a mio padre, ha partecipato anche Fausto Gherlantini, che io considero il mio maestro. Quando lo presento ai miei amici dico sempre che devono portargli rispetto, oltre per la sua età anche per la sua grande esperienza – ha costruito più di venti barche in modo amatoriale sperimentando materiali e soluzioni. Tutto quello che so lo devo a lui. C’è stato anche Massimo Nicolini (la voce si rompe dell’emozione n.d.r.), un amico di famiglia purtroppo scomparso l’anno scorso in modo improvviso ed inaspettato ed a cui io volevo molto bene. Era un maestro d’ascia di Cesenatico e mi ha insegnato tantissimo durante la costruzione di Mia. Era una persona speciale per me.
Michele, perché un multiscafo?
Per me un catamarano o un trimarano sono più sicuri di un monoscafo. Poi, come in tutte le cose ci sono sempre lati positivi e negativi. La navigazione, ad esempio: con un multiscafo sai che non puoi stringere il vento come su una barca a vela monoscafo, anche se i progetti di oggi permettono andature di bolina meno sofferte. Navigando in Adriatico, con le onde corte e ripide, non è sempre facile, ma sono cresciuto con i multiscafi – mio padre ne ha avuti quattro, tutti autocostruiti da lui – quindi sono un multiscafista convinto e difendo la categoria. Poi odio stare sbandato di bolina.
Michele è un ragazzo sincero e che si lascia andare in racconti ed emozioni provati a bordo con Mia, come quella volta che, insieme ad altri tre amici, ha fatto campeggio nautico lungo il Delta del Po, dormendo due sottocoperta e due in tende montate sui trampolini.
Finita l’intervista parliamo di tante cose, come del suo rapporto con il padre, di quando ci siamo incrociati, ma mai parlati, sulle banchine dei porti e di come l’utilizzo dello specchio di poppa, in certe situazioni, possa rappresentare il più grande senso di libertà da provare in barca.
Prometto di chiamarlo appena possibile per un giro su Mia e ci salutiamo convinti che il mare abbia una bella voce, capace di raccontare storie straordinarie.
Mia è un trimarano costruito in sandwich di termanto e vetro/carbonio con tecnica di laminazione epossidica, e fa parte dei progetti di Ian Farrier (1947-2017) il quale ha ideato un esclusivo sistema di piegatura senza cerniere per i trimarani, consentendo di variare la larghezza complessiva in pochi secondi.
Per seguire tutte le novità su Michele e Mia:
https://www.facebook.com/MiaF22rTrimaran/
https://www.instagram.com/mia_f22r/
https://www.youtube.com/c/MiaF22rTrimaran_Multihulls_Sailing_Adventure_