Conoscere gli aspetti fondamentali delle barche a vela è essenziale per capire non solo come gestirle al meglio, ma anche per capire quale barca scegliere in base alle proprie competenze, alle proprie esigenze e ai propri gusti. Si sa, conoscere e capire le barche è cosa piuttosto semplice quando si parla di opera morta e di ponte. Più difficile, invece, quando si tratta di opera viva, e dunque dello scafo sommerso al di sotto del livello delle acque. Lì, in linea generale, si riesce a posare lo sguardo meno di frequente. Eppure lì sotto ci sono degli elementi fondamentali per la barca che, se realizzati in un modo o nell’altro, possono condizionare in modo pesante le performance e il comportamento di un’imbarcazione. Lì sotto, per esempio c’è la chiglia, la quale può essere lunga o corta, a L, A T e via dicendo. Ma quali sono le differenze tra un modello e l’altro? E, ancora prima, qual è la differenza tra chiglia e deriva?
In questo articolo, come avrai intuito, ci dedicheremo proprio allo studio delle chiglie nelle loro varie forme. Negli ultimi decenni lo sviluppo di chiglie, delle derive e delle zavorre è stato continuo: la chiglia lunga, solida e tipica delle barche storiche, è stata abbandonata (non del tutto, come vedremo), e grandi innovazioni si sono susseguite, partendo soprattutto dall’universo delle regate per poi propagarsi in quello delle crociere. Sì, perché una chiglia azzeccata, oltre a rendere una barca più veloce in regata, permette anche di avere una barca più stabile, con un momento raddrizzante maggiore nonché con una più accentuata immobilità una volta all’ancora.
Ma quali sono le chiglie che fanno per la maggiore oggi? Quali sono i vantaggi, e quali gli svantaggi delle diverse tipologie di chiglia? Vediamolo insieme
Cos’è la chiglia (e in cosa differisce dalla deriva)
Vediamo il significato di chiglia. Questo è uno di quegli elementi costitutivi della barca vela che viene citato spesso, anche se, va detto, non sempre nel modo opportuno. Non è raro, infatti, che si finisca per usare questo termine a sproposito. Questo, però, non deve stupire, partendo dal presupposto per cui, come vedremo, con questa parola vengono indicati elementi anche molto diversi l’uno dall’altro.
Nella sua forma più basica la chiglia è, molto semplicemente, la parte inferiore dello scafo di una barca e, più nello specifico, la trave o barra che corre per tutta la lunghezza della carena, formando la spina dorsale della carena della barca, da prua a poppa. Nei semplici scafi a legno, di fatto, la chiglia, è la trave in legno che corre da prora a poppa, accompagnata spesso da una sottochiglia.
Per migliorare la navigazione, però, nel corso della storia le chiglie delle barche a vela sono andate via via sviluppandosi in diverse configurazioni, abbracciando ulteriori funzionalità. Si tratta infatti di un elemento che, dopo essere nato per dare ‘struttura’ allo scafo, viene creato anche al fine di dare stabilità alla barca, nonché per dare resistenza laterale e per contenere la zavorra.
Andiamo un po’ più in profondità. Per capire il motivo d’essere della chiglia bisogna pensare al fatto che la barca, di per sé, è un oggetto che galleggia sull’acqua con una parte minima sommersa: si dà dunque il caso che la stabilità della barca stessa, vista la forza esercitata potenzialmente sulle vele, può essere facilmente compromessa. Da qui la necessità di una chiglia che, in qualche modo, vada a compensare le forze superiori, offrendo stabilità dal basso.
Non di rado la chiglia viene confusa con la deriva. La chiglia, però, è un elemento fisso, mentre la deriva è un elemento mobile, una sorta di ala che può assumere posizioni diverse. Torneremo, in ogni modo, su questo argomento poco più sotto. Vediamo ora nel dettaglio le diverse tipologie di chiglia.
Chiglia lunga o chiglia corta: i vari tipi di chiglia
Chiglia lunga
Facile identificare la chiglia lunga: è quella classica, ‘storica’, che con la sua forma allungata e poco profonda va da prua a poppa. Presente in tutte le barche più datate, è stata, non a caso, posta in secondo piano negli ultimi decenni. La chiglia lunga dà un’alta stabilità alla barca a vela quando questa acquista velocità, e si tratta quindi di una buona alleata per le chi naviga in alto mare seguendo una rotta continua che non necessita di correzioni. Vista la superficie e visto il peso, però, non si può pretendere che la chiglia lunga si accompagni a una grande manovrabilità: i cambi di rotta sono più difficili, e le sterzate non possono essere strette, richiedendo al contrario un raggio considerevole. Questo può essere un problema in molti casi, anche in porto; certamente, però, la chiglia lunga – essendo meno profonda di una ciglia corta – comporta un minor pescaggio, il quale si trasforma in vantaggio anche e soprattutto in porto.
Si è soliti a guardare a queste chiglie dallo sviluppo longitudinale come a dei reperti storici ormai scomparsi di scena, sostituiti dalle moderne chiglie con bulbo annesso. Non è però del tutto vero: negli ultimi anni c’è stato un ritorno delle chiglie lunghe, con dei cantieri che hanno sperimentato le chiglie lunghe ad alte prestazioni, tese per l’appunto a unire una buona stabilità di rotta e un pescaggio ridotto.
Chiglia trapezoidale
Oggi, come anticipato, a dominare è la chiglia corta, in tutte le sue forme. Tra le più diffuse negli ultimi decenni – in particolar modo tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta – c’è la chiglia trapezoidale, caratterizzata per l’appunto dalla forma particolare e dal pescaggio medio che, senza essere estremamente profondo, si stacca decisamente da quello della chiglia lunga. Questa chiglia viene chiamata anche ‘a pinna‘ e, come si può immaginare e come ben sanno i diportisti esperti, offre una manovrabilità ben maggiore rispetto alla chiglia lunga: basta mettersi al timone per poco tempo per accorgersene. Il primo difetto della chiglia trapezoidale è quello di tutte le chiglie corte, ovvero quello di sporgere in modo netto dallo scafo: aumenta il pescaggio e aumenta ovviamente anche il rischio di rotture.
Chiglia a L
Estremamente utilizzate sulle barche a vela moderne e su soprattutto su quelle sportive, la chiglia a L presenta un pescaggio medio, più accentuato rispetto a quello della chiglia trapezoidale.
Chiglia a T
La chiglia a T è il passaggio successivo: si tratta di una chiglia molto profonda, usata soprattutto per le barche da regata o comunque per barche a vela da cui si pretendono grandi prestazioni. Indubbiamente si tratta di una chiglia fragile, distante mille miglia dalla ‘sicurezza’ di una chiglia lunga, la quale però dalla sua può vantare una grande portanza, un alto momento raddrizzante, nonché, in generale, le migliori performance. Ovviamente, però, si tratta di una chiglia che aumenta di parecchio il pescaggio, con tutte le conseguenze negative che ne derivano.
Chiglia di rollio
La chiglia di rollio si presenta in realtà come una doppia chiglia. Qui ci spostiamo infatti parecchio dal concetto di chiglia come asse centrale che attraversa lo scafo da prora a poppa, per avere invece due chiglie laterali, poco profonde, una a tribordo e l’altra a babordo dell’asse centrale. Usate soprattutto su barche a vela di dimensioni ridotte, non possono essere efficienti come le altre chiglie corte viste sopra per ridurre la deriva.
Le variabili da tenere in considerazione per definire i vari tipi di chiglia non sono però tutte qui: si dovrebbe prendere in considerazione anche il bulbo, ovvero il peso applicato in fondo all’appendice della chiglia, così da rendere più stabile una barca senza per questo andare ad aumentare ulteriormente il suo pescaggio.
Tipi di deriva
Più su, nel definire le chiglie, e prima di entrare nel vivo del discorso tra le differenze tra chiglia corta e chiglia lunga, abbiamo parlato anche delle derive, le quali per l’appunto, essendo mobili, non vanno confuse con le chiglie fisse. Sta proprio qui la particolarità delle derive, che possono essere ritratte all’interno dello scafo al momento opportuno per ridurre il pescaggio, o magari per rendere più facile il trasporto su carrello.
Le tipologie di deriva sono essenzialmente due, in base al loro meccanismo di movimentazione. Esistono le derive basculanti, le quali, essendo fissate a un perno, possono ‘ruotare’ su di esso, grazie all’azione di apposite cime. Ed esistono le derive a baionetta, anche dette derive a ghigliottina, che non ruotano, ma si alzano in verticale proprio come una ghigliottina, mutando la loro altezza in base alla necessità.
Chiglia, come orientarsi nella scelta
Quando si tratta di acquistare o di modificare una barca, i fattori da tenere in considerazione sono sempre tantissimi. Le opinioni? Di più! Produttori diversi compiono scelte diametralmente differenti, esperti del settore tifano per soluzioni completamente opposte, e lì, in banchina, tra un chiacchiera e l’altra, se ne sentono davvero di tutti i colori. Senza la presunzione di presentare la soluzione definitiva e assolutamente migliore – nessuno potrebbe farlo, anche perché tutti hanno esigenze differenti – vogliamo riportare qui alcune considerazioni sulla scelta della chiglia e della deriva della barca a vela.
Partiamo da una considerazione di fondo per chi è interessato al dualismo tra chiglia fissa (magari a ridotto pescaggio) e deriva (e quindi mobile). Chi si interroga tra queste due soluzioni ha evidentemente un obiettivo in testa, ovvero quello di avere un pescaggio limitato. Ebbene, le barche con una deriva mobile integrale, di fatto, presentano una pescaggio ridotto al solo corpo dello scafo, a quello che si potrebbe chiamare ‘corpo canoa’. Per qualsiasi altra soluzione, si adottasse anche una chiglia poco o per nulla profonda, non si potrà mai avere un pescaggio inferiore al metro e mezzo (il che non è poco, se confrontato, per esempio, agli 80 centimetri canonici del corpo canoa di una barca di 12 metri circa).
Si potrebbe quindi propendere per la deriva. Ma occhio, oltre al meccanismo della deriva, va anche tenuto in considerazione tutto il discorso relativo alla zavorra, la quale nel caso di una deriva mobile integrale prende posto in sentina, e ne deriva quindi che, per aumentare il raddrizzamento, si è costretti ad aumentare la zavorra – non di poco – e quindi il dislocamento, così da avere delle prestazioni generalmente inferiori.
Non c’è però niente da fare: il diportista interessato alla crociera, che desidera poter raggiungere con la propria barca a vela anche le baie in cui l’acqua è più bassa, sarà pur sempre portato verso una deriva mobile: se per andare a vela la lama di deriva deve esserci, che sia almeno mobile, per non intralciare in nessun luogo! Certo, così si mette una bella croce alle prestazioni boliniere. Di buono c’è che, abbandonando una volta per tutte la tentazione di adottare una chiglia profonda, praticamente un bulbo sospeso, per andare veloce in regata, si vanno a eliminare tutte le grandissime tensioni che, per forza di cose, si creano lì allo scafo, dove la lama della deriva fissa si unisce al guscio della barca.
Non si può però certo affermare che scegliere una deriva mobile anziché una chiglia fissa rappresenti la decisione giusta sul fronte della manutenzione minore. Vale infatti sempre la regola che tutto quello che c’è si può rompere – solo quello che non c’è non si può rompere mai. E, ovviamente, nel caso della deriva mobile esistono più dispositivi, più meccanismi, e quindi una maggiore probabilità di rotture, a prescindere dagli urti (che, potendo ritrarre la deriva, dovrebbero in ogni caso diminuire).
Certo, la via di mezzo è la chiglia lunga che abbiamo visto sopra, come si usava praticamente sempre fino agli anni Sessanta, e come si è tornati a usare sperimentalmente qualche anno fa. Questa non presenta certo problemi di pescaggio, né di manutenzione, regalando ottime prestazioni boliniere. I difetti di questa soluzione, però, li abbiamo già visti.
Come si diceva, la soluzione perfetta non esiste: è però bene conoscere in modo approfondito i pro e i contro di ogni alternativa prima di prendere una decisione!
Perdere la chiglia
Per un diportista che naviga a vela, la perdita della chiglia è un incidente di importanza enorme, che può essere in molti casi fatale. Il fatto che con il perdere la chiglia venga compromessa in modo potente la sicurezza della barca ne sottolinea peraltro l’importanza. Si pensi per esempio a un incidente accaduto qualche anno fa, quando uno sloop di 48 piedi, condotto da due velisti olandesi, venne trovato capovolto tra gli scogli di Cayo Bolivar. I due naviganti – Ria e Wakdy Finke – si seppe poi, persero la vita proprio per un cedimento strutturale della chiglia, persa la quale andarono incontro a un improvviso e drammatico ribaltamento dell’imbarcazione. E dire che quello stesso sloop d’acciaio, il Talagoa, aveva già affrontato una burrasca con vento forza Beafourt 12. Purtroppo in molti casi, a determinare il cedimento della chiglia, non sono tanto degli urti, quanto invece degli errori o delle leggerezze di costruzione da parte dei produttori. Una chiglia in ghisa sferoidale ferritica, per esempio, non rappresenta la migliore delle opzioni, laddove invece – restando tra la ghisa, materiale abbastanza economico per la produzione di chiglie – la ghisa sferoidale austenitica rappresenta una buona e più sicura scelta.
Articolo interessante e completo, considerate le poche righe dedicate ad un argomento cosi complesso. Premetto che, personalmente, ho un debole per le chiglie lunghe. Ho posseduto un Alpa A9, poi un Arpege con il bulbo rivoluzionario di Michel Doufur, adesso navigo su un Bavaria 41 ma sto cercando di tornare verso una chiglia lunga e una linea d’asse. Seppur vero, in parte, il concetto della ridotta manovrabilità in porto, è anche vero che una barca ruota solo e soltanto sul suo punto di baricentro immerso. Quindi una chiglia lunga non può girare su se stessa tanto quanto quasi una a bulbo. L’articolo dovrebbe poi sottolineare i vari incidenti a causa di perdita del bulbo che hanno coinvolto cantieri prestigiosissimi e meno. E’ una eventualità, rara, esistente! A questo aggiungerei il pericolo di veder strappato il sail drive da cime che si avvolgessero attorno all’elica con la barca in velocità. Altro incubo di molti velisti, forse non sempre confessato ma da alcune reazioni viste in pozzetto, ahimè, presente. ln altre parole i sacrifici fatti in nome di una sempre crescente comodità stanno travisando il concetto di barca che deve navigare, lontano o vicino, in massima sicurezza. Il marketing ascolta solo queste esigenze. Leggevo giorni fa di come i pozzetti enormi siano da preferire a quelli protetti e raccolti. Si vero! per lo spritz saldamente ormeggiati in un porto. Buon vento!
Descrizione interessante e ben scritta. Merita un’altra approfondita lettura .