C’è un errore che compiono praticamente tutti i principianti del mondo nautico. Durante le prime ore a bordo di una barca, i novellini finiscono infatti inevitabilmente per chiamare drizza una scotta, scotta una drizza, o ancora peggio, per chiamare tutti i cavi presenti a bordo ‘corde’. Ma sì, le famose corde della barca a vela! In mezzo ai flutti, però, non esistono corde, ma solo cime nautiche, ognuna delle quali ha un compito ben preciso. E se i neofiti non sanno la differenza tra scotte e drizze, molti diportisti alle prime armi – e non solo – hanno spesso difficoltà nell’acquistare la cima nautica più adatte ai loro scopi, finendo talvolta per scegliere delle scotte o delle drizze sbagliate, che possono – a seconda dei casi – rendere più difficoltosa la navigazione, mettere a rischio la barca, usurarsi troppo in fretta o sperperare inutilmente il budget dedicato alla manutenzione della barca. Ecco perché, dunque, oggi abbiamo deciso di creare una guida sulle cime nautiche, per aiutarti ad acquistare le più adatte ai tuoi scopi sul nostro negozio online dedicato alla vendita di articoli per la nautica.
Tipi di cime nautiche
A beneficio degli eventuali principianti e per fare un veloce ripasso per i diportisti che non salgono da un po’ di tempo su una barca a vela, vogliamo fare un breve ripasso sulle tipologie di cime nautiche che si trovano su un’imbarcazione di questo tipo.
Prima di tutto, va sottolineato che il termine cima nautica è generico, e va dunque a comprendere sotto di sé l’insieme della corderia che si può trovare a bordo. Per prima cosa, dunque, all’interno delle cime, andiamo a distinguere tra scotte e drizze.
Le scotte sono quelle cime che servono a regolare la vela, e quindi per cazzare (e dunque per tirarla e per tenerla tesa) o per lascare (per lasciarla). Per il terrore di chi si trova a salire per la prima volta a bordo di una barca a vela, non esiste un solo tipo di scotta. Ci sono varie ‘manovre’, come la scotta del fiocco, la scotta dello spinnaker e la scotta della grande vela.
Ci sono poi le drizze, le quali, a differenza delle scotte, vanno fino in testa d’albero, e quindi vengono cazzate attraverso un verricello. Per farla breve, queste cime servono per issare la vela scorrendo lungo (dentro) l’albero.
Ai nomi di drizza e di scotta corrispondono anche delle parti della stessa vela, la quale conta infatti un angolo di scotta (alla base della caduta poppiera) e un angolo di drizza (o di penna, in cima alla vela) che si frappongono all’angolo di mura (alla base della caduta prodiera).
Con drizze e scotte, però, non si esaurisce tutta la corderia a bordo. Esistono per esempio i cosiddetti stroppi, ovvero dei pezzettini di cima – solitamente derivati da vecchie drizze o scotte – che vengono utilizzati come cavi di servizio a bordo, un po’ à tout faire, per legare la randa sul boma e via dicendo. Ogni barca deve poi avere a bordo delle cime di ormeggio, le quali per l’appunto sono delle speciali cime nautiche utilizzate per ormeggiare la barca e per tenerla ferma e al sicuro. Queste cime presentano tipicamente una forma classica, che le distinguono dal resto della corderia. Altre cime nautiche onnipresenti sono le cime galleggianti, indispensabile per lo sci nautico oppure, più semplicemente, come cima per il salvagente di emergenza.
Scegliere la cima nautica giusta
Le caratteristiche delle cime nautiche
Dalla bontà di questi cavi dipendono i movimenti e la sicurezza della barca. Non solo i regatisti, insomma, devono porre una particolare attenzione alle caratteristiche delle cime nautiche, le quali no, non sono assolutamente tutte uguali: anche i semplici armatori devono sapere cosa cambia col mutare dei materiali, degli spessori, dell’usura e delle forme.
Ma quali sono i fattori da tenere in considerazione al momento di una cima nautica? Dall’esterno potrebbero sembrare tutte uguali: tante corde colorate in modo diversi, e niente di più. In realtà ogni cima ha una storia a sé, a partire dal suo allungamento. Sì, tra le variabili principali di un cavo nautico vi è proprio la sua elasticità, e quindi la percentuale di allungamento sotto carico. Altrettanto importante è individuare la resistenza sotto stress di una cima, e quindi il carico di rottura: quale tensione può sopportare quella determinata cima prima di rompersi? In realtà, le cime nautiche hanno resistenze di carico estremamente elevate, che rendono praticamente impossibile una rottura durante un utilizzo normale: questi cavi possono però danneggiarsi in caso di posizionamenti errati, o per dei rischiosi nodi (come ben sanno i marinai, infatti, un nodo dimezza la resistenza di una cima).
I materiali delle cime nautiche
Non è raro ritrovarsi spaesati davanti all’offerta delle cime nautiche, a partire dai tanti materiali disponibili, le cui condizioni sembrano aumentare di settimana in settimana. Sì, perché la tendenza è spesso quello di realizzare l’anima della cima con un materiale altamente resistente, fornendola poi di un rivestimento esterno di un materiale che, pur non essendo altrettanto resistente, offre una valida protezione ai raggi solari e allo sfregamento: per questo motivo, dunque, le calze sono spesso di un materiale diverso rispetto alla cima interna.
In linea generale, si può dire che le cime nautiche di base e quindi molto economiche sono quelle in polipropilene, le quali a una resistenza di carico media e a una buona resistenza ai raggi ultravioletti accompagnano un allungamento non trascurabile. Fanno meglio le più diffuse cime in poliestere, con un carico di rottura alto e un allungamento medio. Offrono risultati estremamente positivi quanto a resistenza di carico le corde in fibre Aramidiche, Dyneema, Spectra, Vectran e Zyoln, con un allungamento minimo. Si parla, soprattutto nel caso delle Dyneema, di cime che fino a qualche tempo fa venivano utilizzate soltanto durante le regate, e che oggi invece prendono posto anche sulle normali barche a vela. In tutti questi casi, però, il prezzo è maggiore rispetto alle normali corde in poliestere.
Scegliere le scotte
Concentriamoci momentaneamente sulla scelte delle scotte, ovvero, come abbiamo visto, delle cime nautiche destinate alla regolazione delle vele. Per fare un esempio, pensiamo all’acquisto di una scotta della randa, e quindi della cima nautica che ha il compito di manovrare la vela issata sull’albero principale (in certi casi l’unico) della barca. Stiamo dunque parlando di un cavo che, per essere efficace, deve vantare un allungamento minimo, nonché un’elevata resistenza ai carichi, avendo a che fare con una tensione piuttosto importante. Questa scotta, andando a toccare in vari punti lungo il suo percorso, deve inoltre offrire un’alta resistenza all’abrasione e, a fronte di questa pretesa, offrirsi in modo ergonomico ai diportisti, i quali esigono infatti uno spessore adatto per le proprie mani e una certa morbidezza. In linea generale, su una barca da regata o una barca a vela da crociera si propenderà per una scotta di qualità, a partire dal materiale scelto (come per esempio lo Spectra). Anche per altre imbarcazioni, però, ci si dovrebbe guardare dalla corsa verso il risparmio eccessivo, orientandosi su dei cavi sì di poliestere, ma prodotti da aziende riconosciute nel settore.
Le stesse caratteristiche sono richieste per esempio anche per una scotta del genoa, alla quale, oltre a un elevata resistenza ai carichi e a un allungamento quasi inesistente, viene richiesta una particolare resistenza all’usura, vista la particolare azione delle draglie.
Scegliere le drizze
Parlando della scelta delle drizze non si può che sottolineare quanto sia importante la loro qualità per la sicurezza della barca. Una drizza che si spezza nel momento sbagliato – ammesso e non concesso che ne esista uno giusto per tale avvenimento – comporta infatti l’ingovernabilità della barca. A questo si somma che la sostituzione della drizza richiede delle manovre tutt’altro che immediate, le quali in certi casi sono assolutamente sconsigliabili in mare. Come deve essere, dunque, una drizza? In primo luogo, come si può intuire, deve essere molto resistente, e quindi con un elevato carico di rottura. Ma non è tutto qui, in quanto questa particolar cima si trova a piegarsi in modo deciso sulle pulegge, andando dunque a richiedere una resistenza alla flessione tutt’altro che comune nel mondo della corderia. Visto il lavoro che è chiamata a fare, la drizza deve allungarsi il meno possibile, e non deve temere i raggi ultravioletti.
Il diametro giusto
Un fattore da non dimenticare mai nella scelta delle drizze e delle scotte è il loro diametro, che va scelto in base al tipo di barca, alle sue dimensioni e, ovviamente, al tipo di cavo. Una scotta della randa di una barca da regata di 9 metri dovrà avere un diametro di circa 8 millimetri, laddove invece una scotta randa di una crociera delle stesse dimensioni dovrà avere un diametro di 10 millimetri. Tutto sta nel calcolare il carico di rottura che quella determinata cima dovrà vantare, così come espresso sulla bobina. Per calcolare questo valore si deve moltiplicare la superficie velica (espressa in metri quadri) per l’intensità del vento, per poi moltiplicare il tutto per il fattore fisso 0,021.
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Scegliere le cime d’ormeggio
Un capitolo a parte meritano le cime d’ormeggio: qui non si tratta più delle cime nautiche di manovra, quanto invece dei cavi che hanno il compito di tenere al sicuro la nostra barca (a vela ma non solo) nel momento in cui questa viene per l’appunto ormeggiata. Il particolare obiettivo delle cime d’ormeggio spiega il fatto di avere a che fare con dei cavi del tutto differenti dalle drizze e dalle scotte: se queste, infatti, devono essere il meno elastiche possibili, le cime d’ormeggio richiedono al contrario una buona elasticità, per ammortizzare gli scossoni causati dalle onde e dal beccheggio. Il problema, però, è che una cima elastica e morbida è meno resistente di una cima dura e statica: da qui la necessità di trovare il giusto compromesso.
Non è un caso se nel nostro negozio di nautica online si possono trovare cime d’ormeggio molto differenti tra loro, quanto a materiali utilizzati e quanto a convezione. Esistono infatti cime a tre legnoli o a otto legnoli, a treccia singola o a treccia doppia, e ancora, cime di ormeggio in poliestere, in propilene e in nylon.
Le cime d’ormeggio in poliestere, estremamente diffuse, presentano una buona resistenza, un’ottima resistenza ai raggi ultra violetti e un’elasticità media. Questo materiale, del resto, è generalmente molto apprezzato dai diportisti, grazie alla sua morbidezza e alla sua capacità di asciugarsi in fretta. Le cime in nylon sono più elastiche, e dunque sono particolarmente buone per smorzare gli scossoni e il beccheggio; questo materiale, però, non può offrire la stessa durabilità del poliestere. Le cime in propilene offrono delle caratteristiche simili ai cavi in poliestere, alle quali sommano leggerezza e galleggiamento. Vengono dunque utilizzate soprattutto per boe e tender.
Come aumentare la durata delle cime
Ora che abbiamo visto i fattori in base ai quali scegliere le cime nautiche, spostiamo lo sguardo sulle tecniche che ci permettono di prolungare la loro vita: la manutenzione delle cime è infatti un aspetto essenziale della vita del velista.
Cosa si deve fare per far durare a lungo le cime nautiche? Per prima cosa, come abbiamo visto fin dall’inizio di questo articolo, è necessario scegliere le cime giuste per ogni utilizzo, senza usare impropriamente drizze o scotte. Oltre a controllare periodicamente le cime nautiche, un buon velista deve fare altrettanto con i vari rinvii, con i passaggi e le pulegge, perché spesso sono proprio dei piccoli problemi di questi elementi a compromettere la durata delle cime.
Per fare durare a lungo le drizze, poi, è importante installarle bene, evitando incroci che, alla lunga, possono mettere in crisi questi cavi. Altro passaggio fondamentale è quello di dotare ogni singola cima nautica di uno stopper adatto sia dal punto di vista del diametro che della fibra del cavo, per non andare a rovinarlo prima del tempo. Al momento del rimessaggio invernale, poi, si consiglia sempre di rimuovere le cime dalla barca, per metterle al riparo dal gelo, dalle intemperie, dai raggi solari e dall’umidità.
Lavare le cime nautiche
Cosa si fa una cima nautica in lavatrice? Chi non ha nessun contatto con il mondo del diporto potrebbe restare di stucco nel vedere le “corde della barca a vela” nell’oblò della lavatrice. Eppure… eppure per aumentare la durata delle cime è bene anche programmare la loro pulizia. Molti diportisti particolarmente pignoli si danno al lavaggio annuale delle cime della barca per eliminare delle macchie che danno alla corderia un aspetto vecchio e usurato, a partire dalle macchie di ruggine. Ma il vero nemico che si dovrebbe puntare a eliminare con il lavaggio delle cime nautiche è il sale marino, che minaccia in modo importante le fibre di scotte, drizze e compagnia bella, pur essendo costruite – va sottolineato – per resistere a lungo di fronte alle minacce dell’ambiente marino. Ecco quindi che è consigliabile di anno in anno prevedere il lavaggio delle cime con dell’acqua dolce: potrebbe essere sufficiente, nella maggior parte dei casi, un risciacquo a mano, lasciando magari “in bagna” le cime con un po’ di detersivo. Nei forum si incontrano tantissime persone che usano la lavatrice per questa incombenza: i più attenti, anziché usare le delicate lavatrici di casa, usano quelle più potenti, più resistenti e più capienti dei self-service, con temperature basse e centrifuga al minimo. C’è poi, persino, chi usa dell’ammorbidente: sarà davvero necessario?
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