Raccontare la Mini Transat, la regata in solitaria che attraversa l’Oceano Atlantico a bordo dei piccoli Mini 6.50, non è cosa facile.
Non è facile perché dal 1977, anno della sua prima edizione, di storie ce ne sono state tante, come tanti sono stati i suoi protagonisti, quindi per capire perché una regata come la Mini Transat ha raggiunto il successo, bisogna fare un passo indietro.
L’idea di organizzare una regata per piccole barche, che facesse attraversare l’Oceano dal vecchio al nuovo continente, venne da Bob Salmon.
Velista inglese di esperienza e di vecchio stampo, nel 1972 partecipò alla Ostar, la solitaria che da Plymouth arriva a Newport passando per alte latitudini, per il puro piacere di navigare. Quando si trovò davanti ad imbarcazioni da regata “blasonate” e sponsorizzate in ogni angolo, con budget da capogiro, rimase sbigottito da questo ambiente troppo forzato e che troppo si allontanava dal suo pensiero di navigazione e di regata.
Bob Salmon inizia così a pensare alla Mini Transat, che vede come una regata dedicata a barche piccole e con i costi ridotti al minino, per dare la possibilità a tutti di potersi cimentare in quell’avventura magica, sportiva, epica che è la traversata dell’Atlantico.
La prima edizione della Mini Transat si correrà quindi nel 1977 da Penzance fino ad Antigua con 23 iscritti, e una delle barche che diventerà protagonista di questa nuova avventura è il Muscadet. Progettata dal francese Philippe Harlé nel 1963 il Muscadet è una barca rivoluzionaria per l’epoca. In compensato marino e a spigolo dimostra però di essere una barca per le lunghe navigazioni e con doti marinaresche incredibili e diventerà il simbolo della Mini Transat, se non il prototipo dei futuri Mini 6.50.
Da quel momento si apre un nuovo scenario sul palcoscenico sempre più ricercato e ambito delle regate Oceaniche, e la Transat 6.50 (nome originario) diventa un laboratorio di innovazioni, dove i progettisti si possono sbizzarrire in nuovi concetti, innovazioni, sperimentazioni che poi vengono applicati sulle altre imbarcazioni, fino alla nascita della classe MINI 6.50, le barche nate e progettate proprio per questa regata.
Se è vero che il regolamento pone il limite della lunghezza fuori tutto delle barche a 6 metri e cinquanta, è altrettanto vero che il resto può essere lasciato alle idee di skipper e cantieri, e per citare qualche “pazzia” nata tra i pontili della Mini Transat basta ricordare la prima chiglia basculante ideata da un velista chiamato Michel Desjoyeaux. In tempi più recenti possiamo ricordare i Mini 6.50 con la prua tonda che tanto fanno discutere per l’aspetto estetico, ma che hanno dimostrato performance incredibili.
In pochi anni quindi la Mini Transat diventa un appuntamento che gli addetti ai lavori e gli skipper non vogliono perdere, tanto da costringere l’organizzazione a porre un numero chiuso; la Mini Transat è infatti aperta a sole 84 imbarcazioni (oggi fino a 90) che devono rispondere a determinati requisiti per essere ammessi nella lista dei partecipanti.
E sono proprio i partecipanti, meglio conosciuti come i ministi, un altro tassello importante che rende straordinaria questa regata. Personaggi stravaganti, giovani ed ambiziosi atleti, avventurieri, pazzi scellerati, marinai, insomma una variegata e straordinaria comunità che vive, sogna, condivide la stessa passione per il grande blu.
Navigare senza vedere o sentire nessuno per giorni interi, a bordo di una barca che ha uno spazio vivibile di meno di cinque metri cubi, mangiando poco e dormendo ancora meno, sono alcuni dei momenti che ogni minista vive durante la sua esperienza e che sa di poter condividere solo con chi lo ha già vissuto.
Ecco che nasce l’Esprit Mini, un senso di appartenenza forte e solidale che si instaura tra i partecipanti in modo naturale e spontaneo, senza nessun tipo di preconcetto.
Sono quindi tante le storie che nascono dallo spirito mini come quando, poco prima della partenza della Mini Transat di qualche anno fa, una skipper è riuscita a riparare il suo pilota automatico grazie ai pezzi mancanti offerti dagli altri concorrenti. Come sono tante anche le barche “prestate” a titolo gratuito, per intere campagne, da armatori ministi a skipper esordienti e con poco budget.
Sui pontili quindi nasce la tribù dei solitari dove tutti sono pronti a condividere e sostenere i progetti degli altri e dove la competitività inizia solo dopo aver mollato gli ormeggi e si chiude dopo aver tagliato il traguardo, dove per altro, l’usanza vuole che i ministi già in banchina sistemino la barca dello skipper appena arrivato, perché sanno che l’“amico” navigatore è più stanco, avendo vissuto più ore, a volte giorni, in mare.
Condivisione, partecipazione e spirito di aggregazione puro, questo è l’Esprit Mini, perché ogni minista conosce la fatica, l’impegno, i sacrifici e la passione che c’è dietro una campagna che porta sulla linea di partenza della Mini Transat.
Ma per quanto tutto questo possa sembrare romantico, la Mini Transat rimane pur sempre una regata dove le capacità marinaresche dell’uomo sono un elemento fondamentale per poter affrontare le 4000 miglia in Atlantico, e proprio grazie a questa esperienza, dai suoi pontili si sono formati alcuni degli skipper più conosciuti della vela oceanica.
La Mini Transat rimane sicuramente un’avventura, un sogno, ma è soprattutto una scuola di mare, di vita e di umanità.
Il 22 settembre, da La Rochelle, si torna a fare rotta verso la nuova edizione della Mini Transat 2019, una nuova avventura e nuovi protagonisti, pronti a vivere il grande blu. – Leggi qui l’articolo