Mai, mai trascurare la manutenzione dello scafo della propria barca, a partire dagli scafi che un tempo si ritenevano indistruttibili e per nulla bisognosi di manutenzione: parliamo, ovviamente, degli scafi in vetroresina. Non dovremmo mai perdere l’opportunità di dare un’occhiata da vicino all’opera viva della nostra barca, cercando irregolarità o magari piccoli schianti. Anche il più piccolo danno, infatti, potrebbe presto peggiorare, portando a delle infiltrazioni d’acqua nello stratificato: molto meglio, insomma, farsi trovare pronti con dello stucco epossidico e del gelcoat spray, così da rimettere a nuovo lo scafo.
Ma si sa, i possessori di barche con lo scafo in vetroresina non temono solo gli schianti, piccoli o grandi che siano. No: tutti questi armatori temono un male più subdolo, qualcosa che, spesso, viene visto come quasi inevitabile, frutto amaro del destino. Parliamo, ovviamente, dell‘osmosi, incubo di tanti diportisti, contro il quale di certo non basta un po’ di stucco e un po’ di gelcoat spray.
Sull’osmosi, nel corso degli ultimi decenni, ne sono state dette di cotte e di crude. Certe volte si è detto che questo fenomeno semplicemente non esiste, mentre altre volte lo si è bollato come un problema imprevedibile e, una volta diagnosticato, incurabile, una sorta di minaccia di morte.
Un po’ tutti i diportisti che frequentano assiduamente le banchine italiane avranno certamente sentito dire sia che nei nostri mari l’osmosi non esiste, sia che nel Mediterraneo sbatterci incontro è inevitabile. Non mancano, poi, i metodi fai da te, caserecci e strampalati per la cura dell’osmosi dello scafo, come non sono mancati quei diportisti che, convinti che il problema si sarebbe risolto da solo, si sono giocati la propria amata barca.
Ma qual è la verità? Cos’è l’osmosi delle barche, perché si forma, come si previene, e come si cura? L’osmosi dello scafo delle barche, di fatto, è nata insieme alle prime unità costruite con il vetroresina: parliamo dunque degli anni Cinquanta, epoca in cui negli Stati Uniti i cantieri iniziarono a realizzare le prime barchette con questo materiale (in Italia iniziarono a fare altrettanto a partire dagli anni Sessanta). L’osmosi, però, non fece subito la sua comparsa: no, solo negli anni Ottanta, quando la diffusione delle barche in vetroresina era ormai importante, si iniziò a parlare di osmosi.
D’altronde, le barche in vetroresina fino ad allora erano state considerate praticamente imbattibili. Sfogliando un periodico del 1954 (“Vie d’Italia”, per i più curiosi) si incappa per esempio in un articolo dedicato proprio alle barche in vetroresina, e in particolare al Texco, un laminato «ottenuto per accoppiamento di diversi diaframmi fibrosi interposto a lamine di eteri resinocellulosici, fusi e compensati tra loro» il quale era descritto «come eccezionalmente robusto, resistente ad ogni sollecitazione (trazione, perforazione, urti), impermeabile, imputrescibile, inalterabile».
Non si sospettava certo che quello stesso materiale avrebbe comportato di lì a poco l’entrata in gioco, nel mondo della nautica, dell’odiosa osmosi! Ma occhio: chi trova le prime tracce dell’osmosi sul proprio scafo non deve darsi per vinto. Al contrario, è assolutamente possibile salvare la propria barca: in questo articolo vedremo quando e come agire.
Le cause dell’osmosi
Ma perché l’osmosi aggredisce una barca? Per capirlo bisogna da un lato guardare più da vicino al fenomeno osmotico, e dall’altra pensare a come vengono costruite (o meglio ancora, a come venivano costruite) le barche in vetroresina.
Partiamo dall’analisi del fenomeno osmostico: si tratta di fatto della formazione di bolle nella stratificazione dello scafo, a livello di vetroresina e di gelcoat.
L’osmosi nasce qui, nel momento in cui al passaggio di un solvente – ovvero, nel nostro caso, dell’acqua – tra uno strato e l’altro, questi si separano, andando a formare delle vesciche che mettono a dura prova lo stratificato stesso. A innescare il round finale dell’osmosi, dunque, è la semplice acqua marina che, riuscendo a insinuarsi nel gelcoat, va a infilarsi in quegli spazi già presenti all’interno della stratificazione, sciogliendo le sostanze solubili che trova nel suo cammino e dando il via al rigonfiamento
Ma come si formano le vesciche iniziali che poi, solo poi, danno origine a queste temutissime bolle, che tutti i diportisti di barche in vetroresina temono di vedere spuntare nel momento stesso in cui tirano a secco la barca per il rimessaggio invernale?
Ebbene, tutto nasce dalla presenza di bolle d’aria nello stratificato stesso. Ma perché si creano queste bolle? Stiamo forse parlando di piccolissimi danni dello scafo che, non trattati tempestivamente con dello stucco e del gelcoat spray, hanno lasciato la strada libera al solvente di cui sopra, così da ‘allargare’ le maglie dello stratificato? Potrebbe essere, ma la risposta, in linea generale, è no: la prima causa che porta all’osmosi nelle barche è da ricercarsi più indietro, ancora prima che lo scafo venga immerso in acqua. Proprio così, la prima causa di osmosi è da ricercare nella costruzione stessa dello scafo.
Entrando in un cantiere che produce scafi in vetroresina potremmo infatti scoprire che questi vengono realizzati con la sovrapposizione di strati differenti di tessuto di vetro. Questo ‘sandwich’ viene costruito inserendo tra uno strato e l’altro del catalizzatore indurente. Ebbene, per un errore nell’uso del catalizzatore, per un riposo troppo breve tra la posa di uno strato e del successivo, per il mancato utilizzo del frangibolle, per la presenza di impurità a livello della resina, per l’uso della resina ‘invernale’ durante l’estate (e quindi quando le temperature sono più alte), per la diluizione eccessiva dei prodotti, per un’evaporazione incompleta dei solventi: per tutti questi motivi, all’interno della stratificazione, si possono creare le condizioni ideali per la formazione dell’osmosi. Questo fenomeno, dunque, può già essere insito nella costruzione stessa della barca.
Va detto che l’osmosi ha raggiunto il suo picco qualche decennio fa quando, per accelerare il processo di costruzione degli scafi e per renderlo allo stesso tempo più economico, alcuni cantieri decisero di cambiare prodotti e tecniche. Più di recente, invece, questi processi sono stati rinnovati, così da rendere sempre meno probabile, nelle barche più moderne, l’insorgenza dell’osmosi. Ovviamente anche nel corso dei trattamenti di manutenzione dello scafo vanno eliminate tutti i fattori e gli errori che possono incentivare l’osmosi: quando si usano resine, stucchi e spray gelcoat, insomma, è necessario ridurre al minimo le probabilità di infiltrazioni. Si pensi che persino un gelcoat mescolato troppo velocemente – e che dunque assorbe dell’aria – potrebbe essere la causa del fenomeno osmotico!
Ma come si riconosce – in una barca vecchia o nuova – la presenza di osmosi?
Riconoscere l’osmosi, per intervenire tempestivamente
Nei nostri mari l’osmosi è un fenomeno tutt’altro che raro. Devi infatti sapere che questo problema viene incentivato ed esacerbato in quei mari in qui l’acqua e particolarmente calda, come è – per parecchi mesi all’anno – l’acqua del Mediterraneo. Sì, perché l’acqua calda da un lato agisce sul gelcoat, rendendolo più morbido e più poroso (va infatti sottolineato che il gelcoat, di per sé, non è del tutto impermeabile); dall’altra, l’acqua calda è già di suo più fluida, e quindi più propensa a insinuarsi nello scafo e a dare il via a delle pericolose reazioni chimiche.
Diventa dunque importante dare regolarmente un’occhiata al proprio scafo, e ovviamente, in particolare, all’opera viva, soprattutto nel caso delle barche più vecchie. Gli esperti calcolano che quasi una barca ‘datata’ su tre ha che fare con l’osmosi. Questa si presenta attraverso delle bolle, le quali allo stato iniziale non sono visibilissime: si tratta dunque di andare a cercarle con cura – non è certo un caso se tante volte le bolle vengono individuare al momento di dare l’antivegetativa, quando si è a tu per tu con l’opera viva. Le bolle in questione sono pressoché perfettamente tonde, proprio perché la pressione esercitata dall’interno si espande in modo omogeneo lungo tutte le direzioni, come una bolla d’aria che risale dalle profondità del mare.
Talvolta, come anticipato, le bolle sono molto piccole. Altre volte invece le bolle non sono immediatamente individuabili perché, dopo aver fratturato lievemente il gelcoat, si svuotano, per perdere la loro forma. Se invece individuiamo una bolla osmotica e la buchiamo, vedremo fuoriuscire una sostanza giallastra e scura, un liquido che presenta un odore acido, simile a quello dell’aceto
Alcune volte, invece, le bolle si formano negli strati più interni del laminato. Ne consegue dunque che queste bolle diventano visibili solamente dopo molto tempo, quando sono già piuttosto grandi.
Ma non tutte le volte che si grida al lupo, in realtà, c’è veramente un lupo pronto a ghermirci. Spesso e volentieri, infatti, si crede d’esser di fronte all’osmosi, quando invece il problema è un altro.
Quando non si tratta di osmosi
Non sempre le irregolarità e persino le bolle che si incontrano sull’opera viva della barca sono da ricondurre a un fenomeno osmotico. Talvolta, per esempio, le bolle sono sì presenti sullo scavo ma, anziché essere localizzate a livello dello stratificato e al di sotto del gelcoat, si trovano piuttosto in superficie, a livello dell’antivegetativa.
Capire la differenza è abbastanza semplice: se toccando leggermente con la punta delle chiavi di casa la bolla si rompe, non si tratta altro di un’innocente bolla della vernice antivegetativa. Qualcuno, invece di trovare delle bollicine tonde, si trova di fronte a delle bolle di altre forme, lunghe: lì non si tratta di osmosi, ma di una meno preoccupante infiltrazione d’acqua, tutt’altro che infrequente nel caso degli scafi più vecchiotti.
Come prevenire l’osmosi
Come si previene l’osmosi? Ebbene, tutti i possessori di barche in vetroresina dovrebbero prevenire l’osmosi. Questo non significa certo dannarsi l’anima: sono necessari solo alcuni accorgimenti, e niente di più. In primo luogo, è necessario effettuare una signora manutenzione regolare dello scafo, utilizzando primer, vernici ed eventualmente stucchi di grande qualità, per non parlare delle riparazione con gelcoat spray o pennellabile.
Il secondo trucco per prevenire l’osmosi è quello di non tenere tutto l’anno la barca in acqua. É buona norma, infatti, tirare a secco la barca nel periodo in cui non viene utilizzata, concedendo così qualche mese di asciugatura allo scafo. Questo accorgimento è particolarmente utile nel caso in cui si viene a conoscenza che la nostra barca è stata costruita in un periodo storico in cui, in quel determinato cantiere, sono stati fatti degli ‘esperimenti’ su vetroresina e gelcoat.
Talvolta la prevenzione non è sufficiente, altre volte anche la migliore delle strategie non basta. Bisogna dunque individuare il problema dell’osmosi in tempo, e non aspettare troppo nel pianificare l’intervento per eliminare il fenomeno. Se sullo scafo si trova un numero limitato e circoscritto di bolle di piccole dimensioni, è possibile programmare l’intervento con una relativa calma, senza dunque mandare all’aria l’intera stagione.
Se invece le bolle sono molte – decine e decine – è assolutamente il caso di procedere quanto prima, tirando a secco la barca e preparandosi all’intervento. L’osmosi, come di certo saprai, è un fenomeno degenerativo, che procede fino a quando la barca è in acqua, con le bolle che continuano a crescere sia in diametro che in profondità.
Il test vero e proprio per capire se una barca ha a che fare con l’osmosi viene fatto con l’igrometro, il quale dovrebbe essere usato direttamente sul gelcoat, una volta eliminata l’antivegetativa. A questo punto, una volta avuta la conferma del fenomeno osmotico in corso, non resta che agire con un intervento completo.
Come curare ed eliminare l’osmosi
Ma qual è la tecnica per eliminare l’osmosi e mettere al sicuro la propria barca? Ebbene, non si tratta di un lavoro breve, anzi. Si parte prima di tutto pulendo e liberando la barca: le sentine devono essere asciutte e pulite, i serbatoi svuotate, i passascafi smontati e via dicendo. Poi è necessario asportare l’antivegetativa, per effettuare una mappatura precisa del fenomeno, per capire dove la barca è stata aggredita concretamente dall’osmosi. A questo punto si passa al lavoro di rimozione vero e proprio dell’osmosi, togliendo il gelcoat e con esso le bolle di osmosi e il materiale marcescente.
L’attività che fa per al maggiore in questo senso è la sabbiatura, da eseguirsi attraverso l’uso attento di una sabbiatrice, che permette di asportare il gelcoat attraverso il suo getto potente. In mancanza di sabbiatrice è possibile mettersi al lavoro con una carteggiatrice, a nastro oppure orbitante. L’importante è non fermarsi a metà dell’opera: è necessario mettere a nudo lo scafo, per aprire tutte le bolle e poter eliminare del tutto l’umidità presente, per poi procedere con il risciacquo.
Ultima fase fondamentale e vera e propria del processo di eliminazione dell’osmosi è quello dell’asciugatura, ovvero dell’essiccazione della carena della barca. Si tratta di una fase delicate e tendenzialmente lunga: lo scafo deve asciugarsi completamente, utilizzando pannelli riscaldanti o deumidificatori con eventuali “gonne” in plastica per un’asciugatura forzata. Nel caso di ambiente molto secco e attrezzato, è possibile arrivare a un’essicazione completa in alcune settimane; in un ambiente meno attrezzato, invece, saranno necessari 2, 3 o più mesi di asciugatura.
Quando lo scafo sarà essiccato, si potrà procedere con lo stendere uno strato di resina epossidica, con la sua levigatura e via dicendo, fino a quando si arriverà alla stesura del primer e dell’antivegetativa, così da poter tirare finalmente un sospiro di sollievo e poter rimettere la propria barca in acqua – dopo aver scampato il pericolo costituito dall’osmosi.