Vediamo insieme almeno 3 controlli da effettuare!
Sail-drive
Il problema principale che possiamo rilevare è l’infiltrazione di acqua all’interno del piede con conseguente emulsione con l’olio qui contenuto.
Questo è un problema che, se non si interviene rapidamente, può causare danni seri e, su alcuni tipi di piede (Yanmar), estendersi anche all’invertitore.
L’infiltrazione è spesso dovuta a fili di nylon che si avvolgono sul piede del sail-drive insinuandosi nel paraolio di gomma sino a minarne la tenuta.
Per verificare il problema, si controlla, dall’interno della barca, l’olio del piede. Se c’è stata un’infiltrazione, l’olio non sarà limpido ma di colore biancastro. Nel caso si riscontri il problema, bisognerà sottoporre il piede a vari lavaggi d’olio, sin tanto che quest’ultimo torni a essere limpido e trasparente: si fa uscire tutto l’olio, quindi si riempie di nuovo il piede, si fa girare per qualche minuto l’elica e si torna a svuotare.
Contemporaneamente, bisognerà individuare la causa dell’infiltrazione d’acqua.
Si guardi con attenzione se ci sono fili di nylon intorno al piede o intorno al paraolio e, nel caso siano trovati, si rimuovano con molta attenzione. Sin tanto che non si è capito il motivo dell’infiltrazione, non si potrà rimettere la barca in acqua, perché il problema si ripresenterà dopo poche settimane. In ogni caso prima di rimettere la barca in mare, bisognerà cambiare il paraolio.
Il bulbo
Il problema più frequente sul bulbo è l’urto contro uno scoglio o un altro oggetto sommerso. Il punto d’impatto è normalmente localizzato nella parte anteriore o laterale dell’estremità inferiore del bulbo. Lo studio del punto d’impatto può dare indicazioni importanti sull’energia assorbita nell’urto.
Le derive e i loro bulbi si distinguono tra loro, oltre che per il disegno, per il materiale con il quale sono stati realizzati.
Le barche orientate alla crociera, avranno una deriva e un bulbo in ghisa, mentre, quelle per la regata, l’avranno in piombo. E’ proprio questa differenza che determina gli effetti dell’urto sulla barca. La deriva in ghisa, in caso di urto, subirà delle deformazioni minime, se non nulle. Ciò significa che il materiale assorbirà una percentuale molto bassa delle forze prodotte nell’impatto e la maggior parte di queste si scaricheranno direttamente sullo scafo. Nel caso della deriva in piombo, si ottiene un risultato opposto con una deformazione evidente.
La deformazione è indice del fatto che il bulbo ha assorbito una parte consistente della forza generatasi nella collisione. Ciò significa che lo scafo è stato interessato da una forza d’impatto minore di quanto accaduto per lo scafo che monta la deriva in ghisa.
Proprio questa differenza può trarre in inganno nella valutazione del danno da urto. Un bulbo in ghisa può deformarsi davvero poco nel caso in cui l’urto interessi una superficie di qualche decina di centimetri quadrati, lasciando l’osservatore inesperto ottimista sulle condizioni generali della barca.
Ottimismo ingiustificato perché, proprio la mancanza di deformazione risponde alla quantità di energia trasmessa alla zona di giunzione tra bulbo e scafo. Se la rottura di un prigioniero è, in fondo, una cosa rara, non lo sono affatto i danni alla struttura interna di rinforzo intorno alla zona di fissaggio del bulbo.
Rilevare un danno alla struttura interna, ovvero madieri e longheroni, o controstampo, fa scattare, molti campanelli d’allarme e deve indurre ad approfondire tramite una perizia.
La pala del timone
A molti sarà capitato di vedere un perito all’opera. Il “modus operandi” vuole che uno dei primi controlli fatti allo scafo alato sia quello dedicato alla pala o, nel caso ce ne fossero due, alle pale del timone. Il timone è un elemento delicato della barca, questo è esposto a grandi sforzi e a urti accidentali.
Nella maggior parte dei casi il timone è realizzato mediante assemblaggio di due semi-gusci di vetroresina sigillati con stuoie e resina.
Il profilo posteriore della pala è esposto a piccoli urti, abrasioni da parte delle cime sommerse, e sfregamenti di altra natura che possono causare il distacco delle due guance di vetroresina che costituiscono la pala. Nel punto in cui le due guance del timone si separano, si creano delle vie d’acqua tali da causare infiltrazioni all’interno della pala.
Specialmente sulle imbarcazioni datate, l’acqua troverà facilmente degli spazi tra il guscio e il materiale di riempimento, riempiendo rapidamente l’interno del timone.
L’acqua qui contenuta sarà il viatico migliore al manifestarsi dell’osmosi sulle superfici della pala che all’interno non sono rivestite con gelcoat, quindi più esposte a fenomeni osmotici.
Il controllo che ognuno di noi può fare, quando la barca è a secco, è verificare se nella pala del timone sia dell’acqua. L’operazione può essere fatta o con un apposito strumento, l’igrometro, o, “all’antica”, praticando un piccolo foro nella parte bassa della pala.
Se nella pala c’è dell’acqua, questa uscirà dal foro. Nel caso in cui si riscontri la presenza di liquido, si potranno praticare altri fori, per drenare completamente la pala.
Una volta effettuato il drenaggio, prima di mettere di nuovo la barca in acqua, si dovrà aspettare che questa si asciughi e bisognerà individuare i punti in cui le guance si sono scollate e sistemarle mediante resinatura epossidica.
Tenete conto che anche la giunzione tra guscio e asse (metallico) del timone spesso può essere distaccata per l’incompatibilità tra i due materiali contribuendo all’infiltrazione di acqua. Effettuata la riparazione, il timone è pronto per tornare al lavoro.